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La crisi e la ristrutturazione della viticoltura


    
  

       Nel 1709 una terribile gelata aveva provocato gravissimi danni ai vigneti in buona parte del Vecchio Continente.
      Essa distrusse completamente i vigneti nelle zone nordiche, come la Scozia e il Galles, dove fino ad allora la vite era coltivata, ma i danni furono consistenti anche nei vigneti di gran parte della Germania, della Francia e dell'Italia settentrionale. In molte regioni italiane si dovette procedere ai reimpianti, per i quali furono scelti vitigni più resistenti e produttivi. Si ebbe così una forte diffusione dei trebbiani.
      Quasi contemporaneamente, nel 1716, il Granduca di Toscana Cosimo III promulgava il primo vero disciplinare di produzione del Chianti. Si cercava in tal maniera di difendere con un’adatta regolamentazione il buon nome di alcuni già noti vini italiani e di rilanciarli in campo commerciale per contrastare il dominio dei vini francesi. Il Chianti, però, assurse a fama mondiale solo a metà del secolo scorso per merito del barone Bettino Ricasoli, che studiò le proporzioni più adatte delle varie uve chiantigiane e diede impulso alle esportazioni, facendo conoscere il prodotto all'estero.
      Il Chianti all'epoca era, infatti, ottenuto da un uvaggio di uve nere e bianche (Sangiovese, Canaiolo nero, Malvasia toscana e Trebbiano) e con il sistema del "governo" ossia della rifermentazione mediante aggiunta di uve appassite, che cominciò a essere usato nel Chianti verso il 1600 e si estese poi ad altre zone. Il "governo" aveva lo scopo di conferire freschezza e vivacità, un più alto tenore di glicerina e una maggiore rotondità al gusto. Il successo del Chianti si deve appunto attribuire alla sua freschezza e alla facilità di beva, ma anche all'uso del tipico fiasco impagliato. Il Chianti oggi ha caratteristiche ben diverse; esso è vinificato senza uve bianche ed è improntato a esaltare le caratteristiche del Sangiovese.

Salvo rare eccezioni, durante tutto l'ottocento e i primi del Novecento, pressoché ovunque in Europa si assistette al trionfo della gastronomia e dei vini francesi.

     Nel frattempo in Inghilterra prima (1845), nei vigneti del Nord della Francia, del Belgio, della Svizzera e dell'Italia settentrionale poi (1848-49) si ebbe la comparsa della malattia dell'oidio, che si diffuse rapidamente in tutte le regioni viticole, arrecando sensibili danni ai vigneti e quindi alla produzione vinicola, finché un giardiniere inglese, Kyle, con lo zolfo (1860-1870) non riuscì a prevenirla e a combatterla. Prima che i viticoltori trattassero le loro viti con lo zolfo passarono molti anni: molti erano i pregiudizi e le prevenzioni. Un ruolo importante di persuasione, con il suo carisma sembra abbia avuto Garibaldi.

     Nel 1865, in alcuni dipartimenti del Rodano, si hanno intanto le prime manifestazioni di una malattia dovuta ad un afide, la fillossera, che in pochi anni portò alla distruzione di tutti i vigneti di vite europea e ad una consistente diminuzione della produzione di vino, finché non fu adottato il sistema di innestare la vite europea su portainnesti americani. Le nuove viti innestate si dimostrarono sensibili alla clorosi nei terreni fortemente calcarei, finché non si ricorse all'uso di ibridi americani con sangue della Vitis Berlandieri.
      Inizialmente prima di adottare la tecnica dell'innesto, si ricorse all'incrocio di viti europee con quelle americane, ottenendo i cosiddetti ibridi produttori diretti: piante resistenti, molto produttive, ma dalle quali si ottenevano vini dal caratteristico e sgradevole foxy, ossia sapore di fragola tipico delle uve americane.
      L'importazione di viti americane portainnesto aveva intanto introdotto una nuova crittogama, la peronospora che compare sin dal 1870 in Francia e poi in tutte le regioni viticole. La peronospora provocò altri gravi danni alla vite e all'economia vitivinicola, finché Millardet non scoprì l'efficacia dei trattamenti a base di rame e calce e non si impiegò la "poltiglia bordolese" proposta dai francesi Gayon e Millardet.

     Oltre che dall'oidio, dalla fillossera e dalla peronospora gravi danni alla produzione viticola vennero dalla diffusione delle tignole.
      La conseguente carenza di vino favorì' le sofisticazioni; in Francia esso veniva prodotto con l'uva passa importata dalla Grecia e dalla Turchia, oppure con lo zucchero ottenuto dalle barbabietole, di cui si aveva un’elevata produzione nel nord della Francia stessa. Ciò nonostante, per supplire al suo fabbisogno, la Francia fu costretta ad importare vini dall'Italia e dalla Spagna. Si ebbe cos' un periodo favorevole per i vini italiani e meridionali in particolare. Verso il 1880 però, la Francia cominciò ad importare vini dall'Algeria, dove nel frattempo aveva fatto una politica di espansione della viticoltura, con conseguenti problemi per la produzione italiana.
      L’importazione di vini e la pratica dello zuccheraggio furono all'origine di numerose sofisticazioni: i vini importati e prodotti artificialmente venivano utilizzati nella produzione di champagne e cognac.

     Intanto, con l'era moderna, con l'evoluzione delle condizioni politiche sociali, si ha un intensificarsi di studi e di sperimentazioni e si cerca di razionalizzare la produzione e di introdurre i moderni ritrovati del genio umano: si entra nell'era della tecnica e dell'industrializzazione.
      In viticoltura, dovendo procedere alla ricostituzione dei vigneti distrutti dalla fillossera, si coglie l'occasione non solo per reimpiantare la vite europea su viti americane, ma anche per una profonda e razionale trasformazione tecnologica ed economica, in linea con i tempi. Si migliorano i sistemi d'impianto, di allevamento e di coltivazione, si selezionano le varietà.
      Tuttavia si constata che i vigneti non danno più la qualità di prima e ciò, da parte di molti, si attribuisce all'introduzione delle viti americane e alla pratica dell'innesto. La verità è che nel tentativo di infondere vigore ai vigneti colpiti dalla fillossera e dalle altre malattie, di mantenerli in vita e di aver un'accettabile produzione, i viticoltori introdussero la tecnica della concimazione e in alcune zone anche dell'irrigazione: si ebbe così un incremento della quantità a danno della qualità. Non mancarono però esempi di ricerca della qualità.
      Cos' a Montalcino, piccolo comune in provincia di Siena, un giovane viticultore ed enologo, reduce garibaldino, Ferruccio Biondi, assieme al nonno, Clemente Santi, nel reimpiantare i vigneti utilizza un clone particolare del Sangiovese grosso, chiamato localmente "Brunello", individuato e selezionato nell'azienda del Greppo di sua proprietà.
      Brunello che vinifica in purezza (e non in uvaggio con varietà bianche e rosse come era tradizione in Toscana) e senza "governo all'uso toscano", ossia senza rifermentazione con uve appassite. Egli non desidera, infatti, un vino fruttato, ma da invecchiamento, ad imitazione dei grandi vini rossi francesi.
      Dalla vinificazione in rosso del Brunello Ferruccio Biondi Santi ottenne un vino di buona alcolicità (12,5-13,5°) e struttura (26‰ di estratto secco), di grande profumo e tenore di antociani, tannini e glicerina, di giusta acidità, di buona serbevolezza e di grande longevità. Vino che fece maturare a lungo in botti di rovere di Slavonia prima ed affinare poi in bottiglia per molti anni. Il Brunello, che all'imbottigliamento può apparire disarmonico per eccesso di acidità e glicerina, con la permanenza in bottiglia estrinseca tutte le sue eccezionali qualità. Con la maturazione in botte il Brunello perde il sapore fruttato ed il colore violaceo tipico del vino nuovo e si evidenziano i profumi eterei. Nell'ambiente riduttivo della bottiglia gli antociani precipitano sottoforma di piccole scaglie marrone scuro semicristalline, il vino si decolora un poco ed assume la colorazione rosso rubino granato, mentre acquista il profumo e il sapore particolarmente gradevole di "goudron" (catrame e resina). Un ulteriore affinamento in bottiglia evidenzia un profumo particolarmente piacevole di "pietra focaia".
      Tranne rare eccezioni, però, nelle impostazione e nelle scelte sulla tecnica spesso prevale l'economia. Si nota cos' la tendenza della viticoltura a spostarsi dalla collina verso le zone di pianura, dove si impiantano principalmente ibridi produttori diretti, quali Clinton, Isabella, Jaquez e vari Sebel e Baco. Uve dalle quali si ottengono vini comuni, poco colorati, poco alcolici e di nessun pregio, ma con minori spese di coltivazione.
      Anche il Midi della Francia nella ricostituzione dei vigneti, dopo la fillossera, puntò sulla quantità più che sulla qualità con ibridi e vitigni, quali il Carignan e l'Aramon.
      Vi fu anche la tendenza ad impiantare rinomati vitigni francesi, quali lo Chardonnay, il Pinot nero, il Sauvignon, il Cabernet-sauvignon, il Merlot, per imitare i vini francesi.
      Nel complesso però la viticoltura fa passi da gigante; anche se, mentre i popoli di terre meno fortunate s'ingegnano di scegliere le viti che meglio si adattano alle loro condizioni pedoclimatiche, gli italiani, abituati a vedere crescere la vite quasi spontaneamente e dare uve mature dappertutto, non tentano di sfruttare al massimo questi loro vantaggi e prerogative.
      La cattiva qualità non proviene però, solo dalla trascuratezza nelle scelte viticole e nella tecnica di coltivazione, ma principalmente dai sistemi di vinificazione.
      I vini francesi, pur non avendo la Francia le condizioni pedoclimatiche dell'Enotria, si affermano invece grazie alla tecnica di cantina, ma principalmente all'efficace azione di distribuzione e di promozione.
      L'enologia dell'epoca rimane un'industria prettamente rurale, di tipo familiare e stagionale, con carenza di mezzi tecnici e conseguentemente con produzioni di vini di qualità non sempre costante e quindi di difficile commercializzazione.
      L'arte di preparare il vino viene gelosamente mantenuta segreta e tramandata di generazione in generazione, senza grandi possibilità di approfondimenti e di evoluzioni tecnologiche.            L'imbottigliamento viene spesso fatto con tappi inadatti e nessuna o poca importanza è data all'abbigliamento della bottiglia e alla pubblicità, per rapporto ad altre nazioni vinicole.
      Bisogna aspettare ancora alcuni decenni prima di arrivare al progresso tecnologico attuale e prima di vedere manifesti di rinomate ditte italiane che pubblicizzano i loro prodotti.